L’ epoca che stiamo vivendo è pazzesca per molte ragioni. Una di queste è la capacità di amplificare la voce e accordarla, in modo inusuale, quasi magico, con quella delle altre. In modo particolare questo accade per le donne, le cui voci, a partire dall’inizio degli anni duemila, sono particolarmente vivide e intense. Il merito è del progresso scientifico e di quello sociale che si portano dietro carrellate di opportunità di “emersione” e di visibilità. Senza scendere troppo nei dettagli, tutta questa visibilità, a noi donne, acceca, impendendoci di scorgere anche il lato oscuro dell’esposizione che facciamo di noi su youtube, tik tok, snapchat, instagram, linkedin (per citarne solo alcuni); impedendoci di vedere il lato ombra rappresentato dal “controllo”. L’esposizione e la visibilità dell’ affrancamento della donna dai retaggi patriarcali, stanno facilitando, paradossalmente, l’inasprirsi della repressione di genere. Parlando di gender gap, ad esempio, abbiamo riempito i piani marketing dei brand leader, di iniziative fantastiche ma poi, come dimostra anche un recente rapporto sull’equità di genere del web summit, le percentuali arrancano, ben lontane dal 50% anche se in crescita qui e là.
Questa riflessione mi porta a parlare di due donne che hanno capito – nelle loro diverse ma parimenti intense carriere — quanto l’impegno richiesto per l’accesso e il successo nei rispettivi mercati, sia più faticoso di quello di un collega uomo. Ma nonostante questo non hanno mollato, anche grazie alle reti femminili che hanno attivato.