Michela Murgia l’aveva immaginato un pamphlet, “Tre ciotole”, il suo nuovo romanzo, edito Mondadori, disponibile da oggi online e in tutte le librerie.
In corso d’opera, però, ha capito che il tipo di scrittura che stava scrivendo era narrativo, perché attingeva direttamente all’esperienza vissuta, spesso anche di dolore.
“Non posso spiegarlo, e quindi lo racconto”.
Il libro si apre con la diagnosi di tumore, il suo, al quarto stadio. Quello da cui “non si torna mai indietro”.
Lungi però a parlare di cancro, usando un lessico bellico.
In un’intervista al Corriere della Sera, dice: “Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere. Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono, è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Sì, ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite.”
“Ho cominciato a scrivere racconti – ci dice Murgia – perché volevo tante storie individuali con voci diverse, generi diversi, età diverse, che fossero tutte collegate in qualche modo alla stessa grande crisi, ciascuno vivendo la propria.
Siamo tutti moltitudine e leggere libri che parlano di moltitudini, a volte, aiuta a riconoscere la propria speciale identità all’interno di quella pluralità.”.
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