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Perché i bambini battono l’IA

Fui tra le prime, nel 2023, mentre la release di chatgpt sollevava timori che le macchine potessero passare il test di Turing e superare l’umano, diventando più intellgenti dei propri creatori, a sostenere che la natura di queste fosse molto diversa e incomparabile. Riporto qui uno degli esempi che feci quel giorno.

Mentre l’IA eccelle nell’elaborazione di vasti set di dati con velocità e coerenza, spesso superando le capacità umane in queste aree, la natura stessa di come gli esseri umani imparano presenta un netto contrasto.

Considera questo avvincente aneddoto: un neonato a Milano, immediatamente adottato in Giappone. Partendo da zero dati linguistici, questo bambino, nel giro di un paio d’anni sarà in grado di comprendere quasi tutto il giapponese parlato intorno a lui/lei e in un ulteriore paio di anni di dire tutto quello che intende esprimere. All’età di quattro o cinque anni, sarà fluente, nonostante inizialmente mancassero persino le abilità motorie di base per parlare, la capacità di muovere labbra lingua e articolare suoni con la bocca, di modulare ari, respiro e toni, per non parlare del concetto di cosa fosse una frase, soggetto, verbo e complemento oggeto, nomi e aggettivi ecc. Solo intorno ai sette anni inizierà ad apprendere la grammatica formale e comincerà ad analizzare i pattern e i modelli in una lingua che già parla fluentemente.

Ora confrontiamo questo con l’esperienza di un dirigente americano, laureato e con un MBA in un’importante università degli Stati Uniti, inviato a dirigere una filiale giapponese a Tokyo. Nonostante quattro anni di corsi di lingua giapponese – due negli Stati Uniti prima di partire e due in Giappone – e anni di interazione professionale con colleghi giapponesi in un ambiente di lingua giapponese, questo individuo faticava a comunicare, affidandosi costantemente a un traduttore. Tutto ciò nonostante possedesse una quantità significativamente maggiore di dati, conoscenze linguistiche preesistenti e capacità analitiche, sapesse articolare suoni e parole e il giapponese gli fosse stato insegnato metodicamente e scientificamente. Eppure, il neonato, in uno stato di “non-conoscenza”, ha assorbito la lingua organicamente all’interno del suo contesto, immagazzinando nuove conoscenze nella sua neurologia, spinto da un’intenzione intrinseca di connettersi e comunicare. Questo evidenzia un aspetto fondamentale dell’apprendimento umano è diretto dalle intenzioni e mosso dalle percezioni, , un processo olistico e complesso che va oltre la mera accumulazione ed elaborazione di dati. I bambini imparano immergendosi nell’ambiente, la loro neurologia assorbe naturalmente le sfumature della lingua senza uno sforzo analitico consapevole. Questo apprendimento intuitivo e guidato dal contesto contrasta nettamente con l’approccio all’apprendimento automatico basato sull’elaborazione intensiva di dati e sul riconoscimento di pattern.

Elena Meneghetti

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