Nell’ atmosfera rilassata e carica di aspettative, il Cinema Godard della Fondazione Prada, ha accolto l’incontro “Malattia di Alzheimer: impatto sociale ed economico“. Un evento, parte del programma “Preserving the Brain: A Call to Action”, che ha visto la partecipazione di esperti, ricercatori e familiari, tutti uniti dalla stessa urgenza: affrontare la crescente sfida dell’Alzheimer. Fin dalle prime battute, è emersa chiara la volontà di non considerare questa patologia solo un problema medico, ma una questione sociale e culturale che ci riguarda tutti.
Ad aprire i lavori, Patrizia Spadin, presidente dell’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (AIMA), ha sottolineato come la collaborazione tra associazioni e istituzioni sia fondamentale per affrontare un problema così complesso. La sua passione e il suo impegno si percepivano in ogni parola, un’introduzione che ha dato il tono a tutto l’incontro. Poi è stata la volta di Maria Concetta Vaccaro, responsabile ricerca biomedica e salute del Censis, che ha presentato il 4° rapporto Censis-AIMA. Le cifre, impietose, hanno dipinto un quadro preciso dell’impatto economico e sociale della malattia, soprattutto dopo la pandemia. La sua analisi non è stata solo un mero elenco di dati, ma una narrazione coinvolgente che ha mostrato come le ricerche condotte siano fondamentali per spingere la politica ad assumersi le proprie responsabilità. Infine, il professor Paolo Maria Rossini, ordinario di neurologia e direttore del dipartimento di neuroscienze e neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele, ha offerto uno sguardo approfondito sulle frontiere della ricerca. Con un linguaggio chiaro e appassionato, ha spiegato come la neuropsicologia e i biomarcatori siano gli asset fondamentali della prevenzione e della diagnosi precoce. Le sue parole hanno acceso una speranza: una nuova generazione di farmaci e un cambio di paradigma nella gestione della malattia sono possibili.
Nonostante le note positive sui progressi della ricerca, l’incontro ha fatto emergere una preoccupazione latente, quella dela lentezza della politica nel rispondere alle esigenze di pazienti e familiari. Come ha fatto notare più di un relatore, ci troviamo di fronte ad una situazione simile a quella di fine anni ’90, con la storia che sembra ripetersi ciclicamente.
“Non possiamo permetterci di smarrire la stella polare del diritto alle cure,” è stato uno dei moniti più forti. È emerso un quadro di difficoltà nell’accesso ai servizi pubblici, con una diminuzione dei pazienti seguiti dai centri specialistici per l’Alzheimer. Questo nonostante la diagnosi precoce sia fondamentale, e nonostante le evidenze che indicano come il tempo che intercorre tra i primi sintomi e la diagnosi rimanga fisso a circa due anni. In altre parole, la ricerca ha fatto passi da gigante, ma la capacità del sistema di tradurre questi progressi in una migliore assistenza è ancora lontana dall’essere soddisfacente.
Un altro dato allarmante è il carico che grava sulle famiglie: i caregiver sono nel 73% dei casi donne, spesso sovraccariche di impegni assistenziali, familiari e lavorativi. Solo una minoranza si dichiara soddisfatta del supporto ricevuto, sottolineando come il modello assistenziale vigente sia insufficiente. Un quadro che mette in luce una realtà complessa e spesso ignorata, dove sono le donne a sostenere il peso maggiore.
Nonostante le difficoltà, l’incontro ha lasciato spazio a testimonianze di resilienza e di grande umanità. Molti caregiver hanno raccontato come prendersi cura dei propri cari dia loro un senso di utilità, permettendo loro di rivedere le priorità della vita. Emerge, insomma, la consapevolezza di svolgere un ruolo essenziale, anche se spesso silenzioso.
Purtropop non siamo riusciti a restare dino alla proiezione del film “A Tattoo on My Brain“, un documentario sulla vita del neurologo affetto da Alzheimer Daniel Gibbs.
L’incontro ci ha lasciato con una certezza: la ricerca scientifica sta compiendo passi da gigante, ma la politica e il sistema sanitario devono tenere il passo. È fondamentale implementare servizi adeguati, sostenere i caregiver e garantire il diritto alla cura per tutti. Non possiamo più permetterci di ignorare l’epidemia silente dell’Alzheimer e l’impatto che questa patologia ha sulle famiglie e sulla società. Dobbiamo agire ora, con determinazione e consapevolezza, perché il cammino è ancora lungo, ma la speranza è viva.
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