La scorsa settimana mi è capitato di pranzare con un ex collega che si occupa di risorse umane per una grande azienda. Era entusiasta delle piattaforme di intelligenza artificiale, di come snellissero i compiti e accelerassero, a suo dire, il processo di formazione dei nuovi stagisti inseriti nei vari team. Io gli ho fatto una domanda, fondamentalmente semplice: dal momento che state implementando sempre di più l’intelligenza artificiale per i lavori di livello inferiore, come impareranno questi giovani talenti (ora stagisti) a pensare in modo critico e ad evolvere, in futuro, verso i ruoli senior di cui avrete bisogno? Se non svolgono mai il lavoro di base che viene delegato alle macchine, come comprenderanno gli elementi base che permetteranno in futuro di risolvere i problemi?
La mia domanda non ha avuto risposta. Ma quello che mi ha più colpito è che lui non ha manifestato nemmeno il sospetto che il processo in corso nella sua azienda, e in tante altre, possa avere un risvolto quantomeno imprevisto.
Un risvolto che a me, da professionista e genitore, preoccupa molto e che definisco, senza giri di parole, deleterio per la formazione di giovani laureati e laureate che entrano nel mondo del lavoro in questi anni.
Ognuno di noi, nel ruolo pubblico e privato, si chieda se il prezzo da pagare all’intelligenza artificiale è la perdita tramite atrofia delle competenze umane.
Quando mi imbatto in questo genere di entusiasmo cieco nei confronti dell’AI ho la sensazione che stiamo barattando il caos e l’intuizione (a volte magica) tipici dei procedimenti dell’apprendimento umano, con la promessa di un apprendimento democratizzato, di una crescita personalizzata e di un’istruzione più rapida ed efficiente con le AI.
Se il declino ci sarà, partirà proprio da qui, dall’annullamento del pensiero critico: affidare le esecuzioni dei processi alle AI produce“output anestetizzanti e questo lo puoi osservare già nello swipe e nello scroll ossessivo del feed social.
In questo processo di involuzione tramite anestesia da AI, guardare un video sui bombardamenti o uno sui tour turistici nella striscia di Gaza, non sortisce azione né compassione umana. In questo contesto automatizzato, non maturerà il sentimento della collaborazione tra colleghi dello stesso team. E non verranno nutriti sentimenti di appartenenza alle comunità (aziendali e non).
E allora, non volermene caro collega delle risorse umane, al tuo posto, quello che cercherei nei candidati che si presentano, per qualsiasi posizione, anche tecnica, è una competenza soft soft e basic basic, quella del ragionamento critico umano. Una competenza che cercherei anche di far crescere, stimolando e formando creativamente i talenti delle nuove risorse sui valori narrati dal brand che rappresenti.
Il futuro del lavoro, lo dico con tanto sentimento e forse un pizzico di presunzione, non riguarda solo macchine più intelligenti, ma anche esseri umani più autonomi nel pensiero.
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